Amo l’odore del tabacco. Soprattutto quello dei sigari e delle pipe. Io non fumo, non ne sento la necessità, ma alcuni miei simili lo fanno. Il fumo non ci causa nessun problema: non abbiamo i polmoni, o meglio, li abbiamo, ma sono secchi. E il fumo che entra nella nostra cavità toracica, fa il giro come in un sifone ed esce costretto dal respiro che è fittizio, un retaggio dell’umanità, del sistema simpatico che si manifesta con naturalezza, e che ci consente di parlare, emettere suoni e sentire gli odori.
Possiamo decidere di non respirare, comodo quando sei sott’acqua. Ma se prendiamo l’abitudine a non farlo, gli umani se ne accorgono. E vagli a spiegare che non sei un apneista che si allena per il primato mondiale di immersione.
― Ho il contratto ― mi allunga un foglio: ― mi servono i tuoi documenti.
Tirando fuori il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans le sporgo la carta d’identità dalla quale risulta che ho venticinque anni. Doveva durarmi fino ai ventinove, poi l’avrei rinnovata. Come faccio sempre. Prendendola, la prima cosa che fa è guardare la mia data di nascita.
― 5 aprile 1983 ― pronuncia in tono spento. Sì, bambina. Sulla carta sono più giovane di te. E dalla tua espressione noto che ti ha sconvolto. Non ho superato la trentina e ti si smuove qualcosa, forse ti senti in colpa per aver fatto certi pensieri. Non farlo, non sentirti in colpa.
― Sei… molto giovane.
― Sono un giovane uomo ― ribatto svelto, arrossisce. Secondo la legge ci separano nove anni. Ma secondo la natura, ce ne distanziamo più di quattrocento. Sufficienti, direi. Le leggo negli occhi che nove anni di differenza sono tanti. E ha un figlio. Questo gliene fa sentire addosso il doppio. Adesso mi considera un ragazzino, una bella presenza, ma intoccabile. Come ti sbagli, piccola.(Tratto da: Caldo sangue)
Opera: Home again – John Atkinson Grimshaw
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