La mia città è la mia casa. Viaggio molto, e spesso non la vedo per parecchio tempo, ma ultimamente ho deciso di stabilirmici finché mi sarà concesso farlo. Adoro la gente di Roma: la sua ironia e la sua intraprendenza. Ho trascorso qui la mia infanzia, quando per le strade camminavano artisti che ora riempiono i musei di tutto il mondo con le loro opere di inestimabile valore.
Sono nato in vicolo dei Soldati, dove ho vissuto con i miei genitori e i miei due fratelli: Lorenzo e Jacopo. Il mio cognome è il risultato della politica dell’Antica Roma che in Età Repubblicana, ritenne necessario censire i propri abitanti per identificarli, data la popolazione sempre più numerosa, attribuendo un cognome che individuasse gli appartenenti alla medesima gens.
Vicolo dei Soldati esiste ancora, e ancora sono visibili alcune pietre del bugigattolo dove mio padre aveva messo su una discreta attività di commerciante.
Spesso la percorro di notte, quando solamente le luci tremolanti dei lampioni delle vie adiacenti la illuminano. Fermandomi, alzo la faccia al cielo e sbalzo indietro nel tempo.
Nei secoli scorsi, per le vie della capitale, era usuale incontrare mercanti coi loro carretti che si apprestavano a prender posto agli angoli delle vie o si accingevano a portare i loro prodotti ai mercati rionali, attirando i clienti coi loro stornelli che invocavano la bellezza, l’amore, l’arte. Ora, gli unici mercanti che si apprestano a occupare gli angoli delle strade sono gli extracomunitari che cercano di racimolare qualche euro, svendendo oggetti caratteristici della loro terra, il più delle volte realizzati a mano e con un valore superiore a quello che chiedono. Curioso vedere come questo tipo di commercio, ormai tipico in ogni parte del mondo, una volta si vedeva solamente nelle città portuali, gli unici luoghi dove era possibile acquistare merci introvabili portate dai viaggiatori, dagli esploratori, e raramente vendute a prezzi accessibili per le persone comuni. Ci pensavano gli artigiani a trasformare le stoffe orientali in vestiti per le nobildonne, le pietre preziose in gioielli, gli animali in bestie da compagnia o semplicemente, in morbide coperte o mantelli. Le materie prime, che ora diamo per scontate, disponibili sugli scaffali nel negozietto sotto casa, erano merce rara.
Confesso che più di una volta, complice Jacopo, mi sono riempito le tasche dei calzoni con qualche frutto esotico che abbiamo poi consumato lontano da occhi indiscreti. O con qualche inutile, ma nel contempo inestimabile sciocchezza che puntualmente ci veniva requisita da Lorenzo. A noi non interessava da dove arrivassero quegli oggetti: inventavamo storie per dargli un’identità.
La moneta caduta dal borsello di un riccone spagnolo che un ladruncolo aveva acciuffato più velocemente di noi, un giorno ci fece perdere la cognizione del tempo, perché ci ricamammo sopra una storia di un’avventura avvenuta oltre mare, con pirati, briganti e pure qualche assassinio o qualche passeggiata al di là del ponte di comando. Ah, il potere dell’immaginazione…
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