Vi sono differenti varietà di tartufo, dallo scorzone o tartufo estivo, (Tuber aestivum, vedere foto), a quello nero e via così, ma io vorrei soffermarmi sul tartufo bianco, il più prezioso. Tuber magnatum, per la precisione. Il più rinomato e gustoso arriva dall’area albese, in provincia di Cuneo, sebbene ce ne siano altre specie che arrivano da altre zone d’Italia come l’Umbria, le Marche o la Toscana.
Molti storceranno il naso nel leggere queste righe, e lo capisco: il tartufo o lo si ama, o lo si odia con ogni fibra del proprio corpo. Sì, perché ha un profumo pungente che ricorda quello del gas. O dei calzettoni da calcio lasciati a macerare nella borsa della palestra, come mi ha fatto notare una volta Saverio! Prima di assaggiarlo, anche a lui aveva fatto un effetto strano, ma si è fidato di me e ora ne va ghiotto.
Il tartufo è una pietanza particolare. Innanzitutto, è costoso e non è facile averne accesso se non si ha intenzione di spendere qualche euro, giusto per curiosità. Ci si può recare in qualunque fiera del Settentrione, nel periodo tra novembre e dicembre, e acquistarne anche di piccoli senza spendere una fortuna. Beh, dipende. Dal clima dell’estate, principalmente. Già, perché se è stata un’estate torrida, purtroppo il prezzo sale, data la rarità della raccolta. Auguratevi che piova spesso, quindi.
La peculiarità del tartufo è che non si può coltivare, ci hanno provato in molti, ma ahimè, non funziona così. È considerato un tubero, una specie di fungo che cresce spontaneamente ai piedi di alcuni alberi particolari come le querce, i tigli e i lecci. Ed è un’impresa da trovare. Per voi, naturalmente.
Ci vuole un patentino per la ricerca, non è che si va per boschi in cerca del tesoro, anche perché essendo un prodotto che porta soldi, se malauguratamente trovate un tartufaio (trifolao, in dialetto piemontese, nome dei cercatori di tartufo) che lo fa per mestiere, che vi vede scavare sul suo territorio, rischiate che vi tiri appresso il bastone o vi aizzi il cane. Loro hanno zone prestabilite dall’intuito, dalla fortuna, e di solito, nessuno invade il territorio di nessuno.
Una volta si utilizzavano i maiali per la ricerca dato che vanno matti per il tartufo, ma oggi si utilizzano cani da cerca, normalmente di razza Lagotto romagnolo, addestrati appositamente per questo scopo. E anche un buon cane da cerca, costa perché necessita di preparazione, ma senza, è praticamente impossibile sia per legge, sia perché i tartufi maturano in maniera particolare. Esplodono sotto terra, alla stregua di un chicco di mais che diventa popcorn, rilasciando nell’aria il caratteristico profumo. I cani lo sentono, voi no. E quel profumo dura pochissimo.
Infatti, è possibile camminare sullo stesso quadrato di bosco più volte e non sentire che è appena successo. Per questo il tartufaio bazzica per ore nella zona di cerca: l’esperienza gli ha insegnato che non è raro trovare tesori di mezzo chilo dove un minuto prima, non si è trovato nulla. E ha l’obbligo di ricoprire la zona in cui ha scavato, altrimenti rischia di danneggiare il posto (tartufaia) per un’altra cerca, in un’altra stagione.

Come si acquista

Come dicevo sopra, recatevi a una fiera e ne avrete una varietà infinita, di scelta. Dai più pregiati, ai più accessibili. E a prezzi ragionevoli, data la moltitudine di offerte per categoria e grandezza. I più grandi, di solito sono venduti all’asta o al pazzo di turno che si porta dietro bei quattrini, normalmente ristoratori. Ma abbiate fede: i più piccoli, a volte, sono anche i più gustosi. Non è necessario che sia enorme perché sia il migliore. Annusate bene, prima di acquistarlo, e scegliete solo quello che vi fa rovesciare gli occhi, altrimenti, se già fuori è scarso di profumo, dubito che sia ottimo all’interno.

Acquistarlo al ristorante

Normalmente, i ristoratori di un certo livello, ne sono forniti nel periodo che spazia tra fine ottobre, e inizio dicembre. Se volete gustarlo fuori stagione, accontentatevi di altre specie, come quello nero che è onnipresente. Informatevi su quanto costa all’etto, perché così non rischiate fregature. Di solito, la procedura sta nel farlo pagare “a grattata”. Io non lo valuto un buon metodo. Nei ristoranti del Settentrione, abituati a gestire questa pietanza, il Tuber magnatum viene praticamente venduto come se si fosse a un mercatino. Il ristoratore ve lo pesa davanti agli occhi, e una volta acquistato in base al valore di commercio, ve lo lascia al tavolo o ve lo serve lui stesso sui piatti desiderati. Se non si comporta così, fateglielo presente, perché “a grattata” è una vera e propria presa in giro (se non ci sono tartufi esposti che hanno già una pesatura e un prezzo indicativo, ovviamente.)

Pulire il tartufo

Ripetete con me: mai-sotto-l’acqua. No, non sto scherzando. Se lavate il tartufo sotto l’acqua, non siete degni di mangiarlo. Procediamo con calma.
Di solito, quando lo acquistate, ha ancora rimasugli di terra attorno: normale amministrazione, dato che il tartufaio lo spazzola appena con le mani nude. Il tartufo, sulla superficie esterna (peridio), spesso ha delle crepe, ed essendo bitorzoluto (raramente hanno forma perfettamente liscia), in alcune rientranze può fermarsi del terreno. Utilizzate uno spazzolino da denti morbido, non medio né duro, per spazzolare via con molta pazienza la terra in eccesso. Se si sono formati dei buchi, potete aiutarvi (sempre con molta pazienza e soprattutto, delicatezza) con la punta di uno stuzzicadenti. Attenzione a non grattare via il peridio, quindi, se arrivate a vedere del chiaro sotto la zona che state pulendo, è ovvio che non c’è più nulla da pulire. Questo procedimento vale per i tuberi che hanno superficie liscia, altrimenti, per lo scorzone ad esempio, che ha superficie ruvida, basta una spazzolata delicata, sempre con uno spazzolino morbido.

Come conservarlo

Va conservato umido, altrimenti si asciuga, divenendo molliccio (un po’ come succede alle patate) e tanti saluti a gustarlo nella sua pienezza. Molti utilizzano contenitori a chiusura ermetica appositamente realizzati, e sono utilissimi. Per conservarlo, vanno valutate due cose: se volete gustarlo immediatamente, o se volete aspettare qualche giorno. C’è chi lo congela, e si può fare, ma ragazzi: andiamo. Congelare un tartufo? Rimandate un’occasione d’oro per mangiare una delle prelibatezze più sacre e rare del mondo culinario.
Nella prima ipotesi, se volete gustarlo subito, conservatelo in frigorifero avvolgendolo con qualche foglio di carta da cucina umido. Umido, non bagnato. Per facilitarvi il concetto: bagnatevi le mani, poi asciugatele grossolanamente su un paio di fogli di carta da cucina (quella che utilizzate per togliere l’unto in eccesso quando friggete qualcosa) e in quei fogli, avvolgete il tartufo, mettetelo nel contenitore a chiusura ermetica, e lasciatelo in frigo. Oppure (questo è un trucco che chi ama il tartufo, già lo pratica) prendete un contenitore, sempre ermetico, e riempitelo con il giusto quantitativo di riso per fare quante porzioni desiderate, poi adagiate il tartufo in mezzo e conservatelo. In questo modo, il riso assorbirà il profumo del tubero, e quando lo cucinerete sarà gustosissimo. Attenzione a consumarlo presto, però, dal mattino alla sera, intendo, perché il riso rischia di disidratare il tubero, e poi vi ritrovate una noce dimezzata in grandezza e sapore.
Altro trucco se volete consumarlo con le uova: stessa operazione del riso, ma al contrario, mettete delle uova fresche (intere, senza romperle, mi raccomando. Lo so, sembra una stronzata a dirlo, ma meglio specificare) e infilate nel frigo il contenitore. Anche le uova assorbono l’effluvio, e se il tartufo è particolarmente profumato, anche se non glielo grattate sopra a fine cottura, avranno lo stesso il gusto.

Cucinare il tartufo

Come sopra, ripetete con me: non-si-cucina-il-tartufo. Forse qualche americano lo fa, ma che dire: lasciamo a loro gli hamburger, e teniamoci noi i tesori della terra, eh?
Il tartufo si gusta crudo, a fettine tagliate sottilissime, come fogli di carta velina. Quest’operazione si può effettuare con appositi strumenti, simili all’affetta zucchine, per intenderci (e occhio alle dita).
I modi migliori per consumare il tartufo sono pochi, ma superlativi. Non arrancate a creare chissà quali complicati piatti per poi abbellirli col tartufo: non date retta ai talent d’oltre oceano che lo presentano su pizza, carne con foie gras e altre stramberie; restate sul semplice e non ve ne pentirete, credetemi.

Tagliolini all’uovo

Scolati al dente e arricchiti solo con una noce di burro crudo e una grattata di tartufo bianco.

Risotto

Preparate un risotto classico al vino bianco o allo spumante, senza aggiungere nient’altro che del brodo durante la cottura. Mantecate con burro e una volta impiattato, grattate sulla porzione qualche fetta di tartufo.

Uova
Naturalmente, utilizzate quelle con le quali l’avete conservato per alcune ore. All’occhio di bue, mi raccomando, e poi una generosa grattata sopra, a caldo, in modo che il calore della frittura dell’uovo esalti il tubero.

Carne cruda
Un bel trito di carne di Fassone cruda, magari battuta al coltello, un filo di olio extravergine d’oliva e sale. Poi, adagiate delle fette sottili di tartufo e gusterete una meraviglia.

Focaccia allo stracchino
Una focaccia bianca appena uscita dal forno, sulla quale adagiate dello stracchino che si scioglierà, e poi delle fette di tartufo per esaltare il tutto.

Olio al tartufo

Quello che acquistate al supermercato, mi dispiace deludere i più che ci credono, ma di tartufo non hanno mai visto l’ombra. Sono oli realizzati con aromi chimici e anche se sembra che profumino come un Tuber magnatum, in realtà non è così. Potete prepararlo voi, invece, evitando di farvi abbindolare da qualche porcheria in commercio; come i formaggi o qualunque altra cazzata che sull’etichetta porta la dicitura: “al Tartufo”.
Basta procurarsi dell’ottimo olio d’oliva extravergine, una jar (il classico barattolo a chiusura ermetica conosciuta anche come arbanella) e un tartufo.
Molti consigliano di tagliare il tubero, sminuzzarlo e inserirlo direttamente nell’olio, attendendo poi che questi prenda il gusto del tartufo col processo della macerazione. Ma c’è un problema: la maggior parte delle volte, anzi, quasi sempre, l’olio diventa rancido e dovete buttarlo via, oltre ad aver sprecato un ingrediente di valore.
Un metodo efficace sta nel riempire fino a metà la jar (utilizzatene una che abbia la capienza di almeno una bottiglia di olio tradizionale), e stendere sul collo del contenitore in vetro una retina (potete utilizzare una semplice calza di nylon tagliata.) Adagiate sopra il tartufo tagliato a metà, in modo che sprigioni più profumo possibile, senza che il peso di quest’ultimo vada a contatto con l’olio, chiudete il barattolo e mettetelo via non meno di una settimana, dieci giorni.
Potete provare a verificare se l’olio è pronto quando vedrete che il tubero si sta disidratando, e finché emana profumo, potete magari toglierlo dalla sua sede, eliminare momentaneamente la calza (o cambiarla, nel caso si sia rovinata), mettere l’olio in una bottiglia e sostituirlo con altro olio, rimettendo tutto come prima: calza, tartufo sospeso, per farne ancora, fino alla completa dispersione dell’aroma del tartufo. Quando verserete quell’olio anche solo su un semplice piatto di spaghetti, vi accorgerete che non ha niente a che fare con quello trovato nei doni dei cesti natalizi!

ATTENZIONE: alcuni commercianti inseriscono nel proprio cesto, tartufi provenienti dall’Est Europa, e per osmosi, i frutti autoctoni trovati in Italia, li contaminano col loro profumo. Dovete avere occhio ed esperienza, o al massimo, recatevi ad acquistarli con qualcuno che ha queste due peculiarità per non venire truffati sul prezzo e sulla qualità.