Per definizione, l’ignoto è qualcosa che non si conosce, né si identifica. Quindi, se si dovesse attribuire questo termine a una persona, equivarrebbe a uno sconosciuto. Uno sconosciuto è tale finché non ci si prende la briga di approfondire.
È facile giudicare, soprattutto quando si segue il pensiero comune. Se una determinata cosa è condannata da più persone, anche chi non conosce l’argomento di cui si parla, punta il dito. Perché? Perché è rassicurante far parte del popolo. Una pecora, da sola, non ha scampo se il lupo si incaponisce, ma se resta nel gregge, il suo verso verrà coperto dal verso delle altre pecore, e così sarà anche il lamento di paura. Se il lupo insegue il gregge, le probabilità che quella pecora scampi al pericolo aumentano. Se resta da sola in mezzo al prato, è spacciata.
Giudicare rende complici: ci si allea contro un nemico comune. Ci si spalleggia: l’accusatore espone la teoria, e il sostenitore l’avalla in pieno. Se mille esperti, domani scrivessero sulle testate giornalistiche più importanti che il rosso non fa più parte dello spettro visibile, che si sono sbagliati a considerarlo un colore, state certi che un buon numero di persone approveranno questa decisione. Altri alzeranno la voce, ovviamente. Quelli sono i lupi. Sono gli esseri dotati di un pensiero libero che non considera le forzature. Faranno domande, si informeranno, si faranno una loro idea. Avranno torto o ragione? Che siano i posteri a dar l’ardua sentenza.
Chi giudica senza conoscere fino in fondo l’argomento di cui si tratta, chi lo fa senza cognizione di causa, è un genio. Come si fa a giudicare una cosa che non si conosce? Io di solito ignoro, ma non giudico. Se una determinata situazione non mi aggrada, mi allontano. Se una persona non cattura la mia curiosità, la mia attenzione scema e alla fine, evito di approfondire, di conoscere. Non mi interessa: via dalla mia vita. Ho cose più importanti da fare che stare a sentire stronzate che non mi impressionano, appropriarmi dell’opinione di qualcun altro solo perché l’ha sentito dire, l’ha letto da qualche parte. Io valuto ciò che so, su quello che non so, mi informo. Poi mi faccio un’opinione.
E questa parola così solenne: giudizio. Al di là della sua accezione legale, nel linguaggio comune significa che si dichiara una “constatazione di fatto”, un parere sulla qualità o sul valore di una persona o di una cosa. Ma ci vuole competenza, per dichiarare. Un medico sa giudicare se un cuore non funziona, auscultandolo, e un contadino sa giudicare un pomodoro maturo, pronto per essere colto. Sono competenti, nel loro mestiere. Non hanno allungato l’orecchio e ascoltato le voci del popolo che arrivavano da lontano e che suggerivano loro cosa fare: si sono affidati alle loro capacità di giudizio. Vedete? Capacità di giudizio. In fondo non è una gran cosa, informarsi. Si hanno mezzi a disposizione che secoli fa erano impensabili. La parola scritta viaggia più della luce, e resta lì, da qualche parte, in qualche database, pronta per essere divulgata. Attenzione, quando lo fate. Aspettate, non abbiate fretta. A giudicare ci vuole un attimo; a giustificare la puttanata che si è appena scritta, molto di più.
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