Adoro l’arte della fotografia. Farle, più che subirle. Credo sia uno dei pochi modi che l’essere umano abbia per racchiudere in un solo secondo l’eternità. Pensateci: quando ammirate un oggetto, un’opera d’arte, una persona, qualsiasi cosa, la vostra mente si focalizza sul pensiero che quello che avete davanti agli occhi, duri per sempre. Ma purtroppo non è così, e c’è un solo modo affinché avvenga: immortalarlo. Per definizione lo dice la parola stessa: immortalare, rendere immortale. Renderlo eterno.
Quando non c’erano tutte queste tecnologie, quando “immortalare” non era un virus da condividere su ogni piattaforma sociale, la fotografia era l’unico modo per portarsi a casa un pezzo di vita, per aiutare la memoria a non perdere l’attimo. E la gioia, mista all’ansia che lo scatto fosse riuscito bene, prima di portare a sviluppare una pellicola, era un miscuglio di eccitazione e felicità. Si viaggiava con le borse piene di rullini: già usati, ancora vergini. E si stipavano con cura, facendo attenzione che non prendessero luce, facendo attenzione a portarsi via quel sorriso, quell’abbraccio, quella statua che mai più avreste visto coi vostri soli occhi.
Fotografare è divenuta un’abitudine alla portata di tutti, ma il gesto è stato sminuito dalla fretta, dall’impellenza moderna di postare quel determinato luogo, quella celebrità incrociata per caso, per avere una prova e dimostrare agli sconosciuti di averla incontrata. Che strano progresso.
Molti pensano che quest’evoluzione sia il segno dei tempi, un modo per avere il mondo sempre a portata di mano: la storia è divenuta tascabile.
Tanti nascono con l’attitudine alla fotografia, ma non lo sanno. Basta avere occhio, gusto: io ne ho a migliaia, e non mi stanco mai di guardarle.
I fotografi sono artisti. Sono i pittori del subito: colgono l’attimo, regalandoci l’opportunità di ammirare il mondo coi loro occhi. Roba non da poco, credetemi. Entrare nella mente di un artista è un regalo eccezionale, un dono che chi ammira, non può contraccambiare.
La tecnica che prediligo è il bianco e nero. Ammirare una fotografia in bianco e nero e perdersi nelle gradazioni del grigio, cercare di capire perché l’artista ha voluto catturare proprio quell’attimo, con quella luce, con quelle ombre… è magnifico. Vi sono centinaia di artisti che adoro, ma se dovessi fare una sola scelta, pistola alla tempia, direi che la mia preferita è Diane Arbus. Molti la considerano la fotografa dei freak, i suoi soggetti prediletti, e molti non hanno capito il suo lavoro. Lei non immortalava queste persone per un gusto grottesco o per esporli al pubblico ludibrio, no. Lei aveva intuito che la perfezione risiede nell’imperfezione. Che incredibile squallore limitarsi a osservare solo la bellezza predefinita, impacchettata: quella che le riviste patinate di moda ci obbligano a considerare tale.
Il valore della bellezza è dato dal giudizio dell’occhio, e non da un vile imbonimento pronunciato dalla lingua del mercante
diceva William Shakespeare. E lui ci ha visto lungo su molti argomenti.
Personalmente, amo la bellezza: sono un esteta e sarei ipocrita a dire il contrario. Ma trovo affascinante anche chi non ha i canoni classici: ci sono persone, donne meravigliose pur non avendo un briciolo di avvenenza. È il potere del fascino che le avvolge ad attrarmi, a farmele apparire splendide. Come i freak della Arbus. E se hanno anche personalità, il gioco è fatto.
Vi siete mai chiesti, tra l’altro, in quante fotografie siete stati immortalati? Non andate a verificare sull’album di Facebook, né degli altri social network ai quali siete iscritti: mi riferisco a quelle che vi hanno fatto senza che voi lo sospettiate. Camminare in piazza San Pietro e notare, tra le migliaia di turisti che contemplano il colonnato, decine di macchine fotografiche che scattano, di cellulari che riprendono. E chi vi dice che tra le loro immagini, non ci siete anche voi? Chiunque, almeno una volta nella vita, ha frequentato luoghi turistici. O feste, concerti, semplici compleanni o fiere… e quanti scatti sono stati fatti in quelle occasioni? Impossibile dirlo. Magari avete migliaia di foto che ora abbelliscono gli album, i diari o le pagine Facebook di qualche studente asiatico, argentino, americano: cinese. Ci siete, siete eterni, immortali. Senza nemmeno saperlo.
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